sabato 5 novembre 2016

... mi ricordo ... sì , mi ricordo ...

... la pioggia che scende da tre giorni, il sabato pomeriggio in macchina all'uscita della fabbrica, l'acqua che sale nel parcheggio e copre l'asfalto, le striscie, le aiuole. L'atmosfera grigia, plumbea, uno strano disagio, una sensazione, come un presagio sinistro. Il ritorno a casa, e alla fine della tangenziale un lago, che parte dal fiume e copre i campi, insidia la strada, si unisce ad un altro lago rinchiuso tra la strada e la ferrovia, sfiora di poco sopra la strada. Tutto è una distesa di acqua sporca, colore di terra e di sabbia, sull'asfalto solo un velo, ma da una parte e dall'altra puoi anche annegare. Dov'è finita la strada? L'acqua contende spazio all'asfalto, ma la leggera pendenza ti lascia vedere lontano il nastro grigio che prosegue diritto, sgombro davanti alla fabbrica del calcestruzzo. Avanti adagio, fendendo il velo d'acqua, fino all'asciutto, fino ad una sensazione di pericolo scampato, il confortante rifugio tra le mura di casa. E anche da qui, mentre osservi dal balcone questa pioggia che non smette, non vedi più campi, fossati, strade, ma un indistinto velo marrone che tutto copre e si muove,  ondeggiando. Si sentono rumori lontani, come di schianti e di tonfi, ma quasi indistinti, attutiti dallo scroscio della pioggia. Mi ricordo verso le dieci, la luce che si spegne e tutto che piomba nella notte più scura, case e strade buie, silenzio e rumori lontani, ovattati. Ricordo la pioggia che poco a poco si spegne e nell'oscurità totale, alla luce delle torce, una piccola ronda tra vicini di casa per esplorare nella notte quelle strade ora sgombre dall'acqua, un giro attorno al quartiere più per curiosare che per porre rimedi, ignari della tragedie che erano in corso più a valle di noi, dove il fiume stava spazzando tutto quello che trovava. Il mattino, quello stesso cielo scuro, quella stessa atmosfera grigia e plumbea del pomeriggio precedente, soltanto senza più quella pioggia incessante. Prima lo stupore, poi lo sgomento, infine la pena nel vedere, mano a mano che si avanza verso la città, il segno del passaggio del fiume. Dappertutto gente armata di pale che va verso le abitazioni più vicine al fiume, dove se ne vedono altri che già stanno spalando fango fuori da case e capannoni. La tangenziale con le sue barriere travolte, divelte; auto di vigili e carabinieri a bloccare l'accesso; gente, curiosi e soccorsi, su quello che prima era asfalto ed ora è un prolungamento del greto del fiume. E, dall'altra parte, quello che non sembra vero: automobili tra la melma, nei pioppi, appoggiate contro il fusto degli alberi, rovesciate da una forza che pare impossibile concepire. E dappertutto, continuamente, un rumore incessante, fastidioso, snervante di sirene di ambulanze, forze dell'ordine, allarmi. Su tutto elicotteri che partono e arrivano, in uno scenario da campo di battaglia, da apocalisse moderna.

Ho poche foto di quel disastro: ma è tutto nella memoria, e ogni tanto riaffiora, come in questi giorni di rievocazioni. Pareva una rude intromissione nelle tragedie degli altri quel volere scattare delle foto, fissare attimi di tragedia e disperazione; e forse lo era. Adesso sembra strano, ma in quei momenti percepivo una muta ostilità da parte di chi mi vedeva prendere foto, come se il rispetto mio verso la tragedia fosse minore del rispetto degli altri curiosi, di chi assisteva a quella scena soltanto guardandola, senza fissarla su una pellicola.

Ho spesso pensato a quelle vite troncate all'improvviso. Non ne conoscevo nessuno, ma ho provato ad immaginare quale potesse essere stato il loro pensiero, la loro reazione a un simile evento improvviso. A cosa avrei pensato, a come avrei reagito io se mi fossi trovato al posto loro. Sono pensieri che ti vengono in mente di fronte ad un fatto impensabile, enorme, che dopo un pò credi di avere scordato, ma che rimane nel tuo subconscio e si riaffaccia in visioni oniriche, anche a distanza di anni. Più o meno come quando sogni di dover scappare davanti a un pericolo che si avvicina, e nel sogno vorresti correre ma le tue gambe non si muovono. Quando l'eco di un fatto è così potente da colpire il tuo immaginario, allora rivive negli incubi, per molto tempo dopo l'evento. Così dopo aver visto gli arerei schiantarsi contro le torri, il subconscio disegna qualcosa che ci sovrasta, ci incombe, ci segue su ogni rifugio a cui vorremmo arrivare, nel vano tentativo di cercare scampo.

Mi ricordo, sì, mi ricordo, anche se il tempo che passa rende il ricordo un pò più sfocato. Due cose però sono nitide, ancora oggi indelebili nella memoria. Il senso di smarrimento davanti a quel lago, a quell'acqua che copre tutto e si congiunge con il cielo livido, impastando tutto in un triste grigiore.
E quel rumore di fondo fatto di sirene, di allarmi, di elicotteri, che diventa continuo, incombente, ossessionante.











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