lunedì 30 ottobre 2017

A RIVEDERCI


Ci ha lasciato oggi Giacosa Francesco, da tutti noi conosciuto come Franco dei Prati (dij Pra'). Era da tempo ammalato, sembrava che si fosse ristabilito dopo una crisi acuta, ma oggi se ne è andato, ad una età davvero troppo precoce, a soli 66 anni.

Da generazioni la sua famiglia abitava in quella bella, accogliente cascina posta al fondo della strada che da sempre dava il nome alla sua famiglia: Strada dei Prati. E lui per tutti era appunto Franco dij Pra', come già eravamo abituati ad indicare anche suo padre, Talìn (Vitale) dij Pra'.

Non lo conoscevo a fondo, non essendo coetanei nè vicini di casa. Ma per quel poco che conoscevo, l'ho sempre stimato come una persona gentile, cordiale, molto ospitale. Tutti noi lo conoscevamo di vista, per noi era l'uomo della mietitrebbia, il conducente di quei ciclopici mezzi che ci capitava di incontrare in campagna, nei fondi dove svolgeva il suo lavoro, instancabilmente.

Ma in alcune occasioni ho anche avuto modo di constatare la grande ospitalità, la cordialità e la cortesia che gli erano proprie e che trasmetteva a tutta la sua famiglia. Quando non si conosce a fondo una persona, si rimane piacevolmente stupiti nello scoprirne un lato nascosto ed interessante. Ed infatti eravamo rimasti sorpresi e rapiti dal suo coinvolgente entusiasmo quando in più occasioni ci fece da anfitrione, illustrandoci la storia della sua famiglia e della sua cascina in epoche passate.

Una volta ci raccontò dell'incontro, avvenuto proprio qui tra suoi antenati ed il re Vittorio Emanuele II, in transito dalla tenuta di Pollenzo, facendoci vedere la targa commemorativa che ricordava l'avvenimento. In altre occasioni, specialmente nelle sere d'estate in cui si faceva un punto di onore nell'ospitare la recita del rosario, ci raccontava la storia del grande pilone dedicato alla Madonna che si erge all'ingresso della sua cascina, pilone voluto, realizzato e curato nel tempo dalla sua famiglia. Si sentiva nelle sue parole l'orgoglio e la soddisfazione di continuare una tradizione che veniva da lontano nel tempo. Si capiva che ci teneva a farne partecipi anche gli altri. Era una brava persona.


Questa sera. lunedì 30 ottobre alle 20.30, ci sarà la veglia di preghiera, in parrocchia a Piana Biglini.

Domani mattina, martedì 31 alle ore 10.00, ci sarà il funerale nella chiesa di Piana Biglini, partendo dalla cascina Prati alle 9.45.

Alla moglie, al figlio, alla famiglia, a parenti ed amici vanno le condoglianze del Comitato di Quartiere.

Ciao Franco. Riposa in pace. A rivederci.

lunedì 23 ottobre 2017

LA LISTA


 

Ancora una volta siamo a commentare un accadimento non desiderato.

Questa mattina si è constatata la distruzione dello specchio posto in via Martini, a ridosso dell'incrocio con via Garelli, a lato della chiesa parrocchiale.

Pare che l'ennesimo incidente sia del tutto fortuito: si ipotizza l'impatto contro lo specchio da parte di un cormorano in migrazione, disorientato da una improvvisa, repentina variazione dell'asse magnetico terrestre.

Possiamo comunque dirci fortunati, per la mancanza di altri danni visibili: se ci fossero state per esempio installazioni di videosorveglianza, avrebbero potuto anch'esse essere interessate dall'impatto, aumentando l'entità del danno a carico della collettività.

Ci auguriamo ora che gli enti interessati possano al più presto ripristinare quanto danneggiato, data la importante funzione che lo specchio rivestiva in questo incrocio disagevole e con poca visibilità.



Al di fuori di ogni metafora, tralasciando ogni ironia, un fatto rimane evidente: questo sembra proprio l'ennesimo danno causato da atti di vandalismo, all'interno del nostro quartiere. Non è stato un autoveicolo a centrare lo specchio, non c'è traccia di impatto sul palo. Per colpire un oggetto posto a più di due metri da terra, ci vuole un gesto intenzionale, e usando un attrezzo.

Come sempre andiamo ripetendo ad ogni scoperta di nuovi atti del genere; più si lascia perdere, più si invoca la ragazzata, più si commenta "eravamo anche noi così", insomma più si va sul "sono cose che càpitano", e più si sbaglia. Si diceva, in un film ormai datato, che "Queste cose càpitano solo perchè in questo paese c'è troppa gente che, quando queste cose càpitano, dice: - Sono cose che càpitano-".

Per non farle capitare, ci vorrebbe anzitutto a livello generale un cambiamento di prospettiva: non è che si può fare tutto quello che si vuole e farsi beffe dell'autorità solo perchè questa non è in grado di reprimere i comportamenti sbagliati, ingabbiata com'è sia in una serie di garantismi che ne paralizzano l'azione, sia in una cronica mancanza di mezzi e di uomini. Il senso di ciò che è giusto o sbagliato dobbiamo averlo dentro di noi, formatosi per insegnamento, cultura e ambiente di vita. Ci vorrebbe del tempo, delle generazioni, perchè tanti, troppi sono gli atteggiamenti, le abitudini da cambiare; per dirla con la saggezza popolare del grande Bartali: "- Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare -".

A livello locale poi si dovrebbe mettere in atto tutta una serie di accorgimenti per contrastare o perlomeno dissuadere questo stillicidio di atti vandalici, di danneggiamenti. E' almeno da un paio di anni che periodicamente, ad ogni nuova distruzione, invochiamo l'installazione di mezzi di videosorveglianza o anche solo la presenza fisica dell'autorità, dei suoi difensori sul territorio.
Magari poi, riflettendo sulla constatazione della sostanziale impunità, il deterrente di questi mezzi perderebbe ogni efficacia psicologica agli occhi dei nuovi Genserico. Ma almeno ci avremmo provato, in qualche maniera. Prima che l'esasperazione della popolazione non porti a quei tristi fenomeni di intolleranza che sono stati i prodromi in passato di ben altri gravi eventi. Il lassismo in sè non è necessariamente cosa negativa, ma il suo eccesso porta a delle reazioni di segno opposto che poi potrebbero sfociare in atti di intolleranza tout court, proprio quella che si dovrebbe evitare in uno Stato civile.

Questa volta è toccato allo specchio, la volta prima al rubinetto del cimitero, prima ancora alle vetrate della chiesa, a quelle del salone parrocchiale, ai fari a pavimento del sagrato. Alla vetrata polìcroma sul portone della chiesa, ai lampioncini da giardino intorno al salone, al citofono della casa parrocchiale. Alla bacheca del Comitato di Quartiere, ai muri del salone, al muro della casa in via Martini. Ai tombini in via Garelli, al quadro luci del campo da calcio (già danneggiato anche il suo rifacimento, una volta si diceva "secondo estratto"), alla rete del campo da calcio. Alla recinzione della chiesetta, allo specchio in via Martini oltre ferrovia, alla pensilina del bus e cabina telefonica sulla piazzetta delle scuole. Al furto sistematico di quanto si coltiva lungo la strada del cimitero, al furto della corrispondenza nelle cassette delle lettere, all'abbandono di ogni genere di immondizia, specie bottiglie di birra vuote, lungo le vie e nei fossi del quartiere. Alla introduzione di cani nel parco giochi, all'abbandono di pattume a pochi centimetri dai cestini, al furto di fiori, sia recisi che in vaso, nel cimitero, oltre all'asportazione di altra oggettistica funebre, di pluviali e grondaie. Molte altre cose ancora, ma soprattutto quella aria di sfida, quella consapevolezza di impunità che diventa la beffa più insopportabile che accompagna tutti questi danni.

Quando ci siamo lamentati dell'andazzo che aveva preso il nostro bel (prima) quartiere, ci siamo sentiti rispondere che questi erano problemi comuni a tutti i quartieri dove si era iniziata la convivenza tra due ambiti sociali diversi, che questi inconvenienti erano capitati dappertutto, che ci voleva del tempo e della pazienza per l'integrazione e la convivenza pacifica. A me questa volontà di integrazione non mi sembra venga esplicitata, anzi non la vedo affatto. Vedo solo una lunga lista di atti intesi a escludere, a voler respingere ogni possibilità di convivenza, di tolleranza, di integrazione.

A questo punto bisogna attuare un controllo, ma che sia capillare ed efficace, del territorio; diversamente, si finisce per delegare agli istinti peggiori dell'autodifesa. Per me è sempre meglio la prima, anche se può sembrare invadente; in fondo, male non fare, paura non avere.

E speriamo che a livello generale si rettifichi qualcosa, si dia un indirizzo chiaro di legalità, altrimenti il Paese va a scatafascio. Come il nostro specchio.


giovedì 12 ottobre 2017

ACQUA PASSATA


La settimana scorsa ho ricevuto l’ennesima segnalazione di un atto, non dico di vandalismo, ma di evidente stupidità. Siamo sempre nella zona del cimitero, dove l’ultima volta abbiamo constatato il danneggiamento delle tre piante nell’aiuola esterna.

Questa volta, una persona dotata di un ormai raro senso civico mi ha informato di aver chiuso il rubinetto esterno al cimitero; qualcuno lo ha lasciato aperto e zampillante, non certo per una necessità, credo neppure per distrazione, ma solo per il gusto di fare una cosa disdicevole, di sprecare risorse che poi tutti quanti dobbiamo pagare.

Quando è stato chiuso il rubinetto, la rampa e la strada sottostante erano già percorse da un corposo flusso d’acqua. Mi era già capitato di vedere dei non autoctoni assieparsi intorno a questo rubinetto con taniche e capienti contenitori. Circolava la voce, sicuramente una leggenda metropolitana, di atomizzatori riempiti di gratuita acqua pubblica per i trattamenti antiparassitari privati. Ma non era ancora capitato che qualcuno provocasse un danno alla collettività, senza ricavarne un profitto. Nella sua logica distorta, praticamente un idealista.

Aspettando che Godot arrivi con le telecamere di sorveglianza, si potrebbe nel frattempo attrezzarsi con sistemi che evitino non dico le appropriazioni indebite, ma almeno gli sprechi. Mi era sembrato il classico uovo di colombo la soluzione adottata per le luci del campo sportivo. Accensione a tempo, dopo due ore si spengono, se le vuoi a tutti costi lasciare accese per tutta la notte, ogni due ore devi tornare masochisticamente a ripigiare il bottone.

Ecco, per il rubinetto esterno al cimitero si potrebbe usare lo stesso criterio. L’ho già visto in molte fontanelle pubbliche: schiacci il pulsante, l’acqua esce; lasci il pulsante, l’acqua si ferma. Se devi riempire il bidoncino per i fiori dei loculi senza farti venire il callo al pollicione, c’è il rubinetto interno al cimitero; se devi riempire il bidoncino per il bagnetto del cane, c’è il rubinetto di casa tua.

Le leggende metropolitane da dieci brente in su, gli allagamenti stradali, e persino le code di persone in attesa con il bidoncino sotto braccio diventerebbero acqua passata.