venerdì 22 luglio 2016

QUESTIONE DI TEMPI



Questa settimana sono state indette le prossime elezioni dei consigli di quartiere. Sono già passati cinque anni da quella domenica di novembre in cui la popolazione del nostro quartiere ha dato mostra di un alto senso civico, partecipando massicciamente alla consultazione. Le elezioni si terranno domenica 20 novembre, contestualmente in ognuno dei 9 quartieri in cui è divisa la nostra città.

Da circa un anno la commissione che si occupa del regolamento per il funzionamento del consiglio comunale ha preso in carica anche il regolamento che istituisce e disciplina il funzionamento dei comitati di quartiere. Ne sta facendo, praticamente, il “tagliando”. Per conoscere nel merito se ci fossero e quali fossero le cose da rettificare, la commissione ha consultato i presidenti di quartiere per sentire, a parer loro, quali fossero le criticità del regolamento. Ne è venuto fuori un misto vario in cui però una cosa sembrava essere comune a tutti gli interpellati: il criterio, a detta di tutti troppo stringente, che impone la decadenza dal consiglio di quartiere di chi si candida (attenzione, non di chi viene eletto, ma di chi semplicemente si candida) a cariche “superiori” (dal consigliere comunale in su).

La constatazione della eccessiva severità della norma ha trovato un riscontro molto puntuale e preciso. In qualche quartiere ci sono state talmente tante decadenze da sguarnire vistosamente l’organico dei consigli, e neppure il subentro di tutti i non eletti alle elezioni del novembre 2011 ha potuto reintegrare completamente il consiglio di quartiere.

Per ovviare a questi inconvenienti si è deciso di agire con modifiche sul regolamento. Ho assistito a tutte le commissioni in cui si è discusso su questo argomento (“una decina, più di quante fatte per l’italicum” a detta di qualche commissario, ma forse esagerava) anche se la fase di audizione era terminata e si passava alla discussione, in cui noi presidenti eravamo solo pubblico presente. Posso dare un resoconto delle posizioni delle parti, ma mi pare inutile oltre che poco elegante. Le tesi contrapposte erano sostanzialmente due: la prima, si può riassumere in “bisogna sapere cosa si vuole fare da grandi” (o fai una cosa, o ne fai un’altra, e lo devi decidere prima delle elezioni “superiori” ; la seconda si può riassumere in “che male c’è?” secondo cui ci si candida, se si viene eletti si passa all’assemblea “superiore”, altrimenti rimane tutto come prima.

Devo dire per amore di verità che sono sempre stato in sintonia con questa seconda mozione. La commissione invece ha diversamente disposto. Non c’è stato alcun cambio di impostazione, nessuna rivoluzione copernicana. Si è arrivati ad una posizione di compromesso che limasse un po’ le asperità, salvaguardando l’impianto generale del regolamento esistente, e prevedendo meccanismi di “ripescaggio” per tamponare le falle che le elezioni “superiori” possono aprire negli organici dei consigli di quartiere.

Le ultime modifiche discusse prevedono l’obbligo di dimissioni 45 giorni prima delle elezioni, anziché i 60 precedenti, ed in ogni caso la decadenza alla sottoscrizione della candidatura, come prima. Prevedono l’obbligo di comunicare al consiglio di quartiere le proprie dimissioni (pena, in caso di inottemperanza, immagino, la decadenza). Prevedono che il numero minimo per il funzionamento del consiglio di quartiere sia non più la metà + uno dei componenti, ma il numero di 3 (tre), indipendentemente da quanti erano i componenti iniziali. Purtroppo se rimangono meno di tre si dovrà per forza riandare alle elezioni, rendendo inutile tutta questa impostazione tesa ad avere un unico election day per tutti i quartieri. Infine per ovviare ai buchi negli organici ci potrà essere, dopo la surroga dei non eletti, il “ripescaggio” dei dimissionari e dei decaduti, nell’ordine di preferenze derivante dalle elezioni in cui erano stati originariamente eletti.

So che a buona parte di voi questi argomenti paiono noiosi, inconsistenti, privi di interesse. Vi capisco. Io stesso, a forza di sentire e risentire gli stessi concetti, i medesimi ragionamenti, le solite considerazioni, ne sono un po’ stanchino. Ne ho già parlato in altri due post, “La palestra” e “Il posto in caldo”, e mi rendo conto di avervi annoiati abbastanza, oltre ad aver consumato tempo e tastiera senza costrutto. Ma mi piace ascoltare e poi, a freddo, commentare, obiettare, discettare. E rendere conto ai lettori, oltre che degli iter sulle manutenzioni, anche dei meccanismi con cui si muove la democrazia, anche quella dal basso.

Mi diverto a immaginare l’applicazione pratica dei grandi concetti ideali espressi nelle leggi, nei regolamenti. In questo caso, a immedesimarmi nel nuovo presidente che sarà espresso dalle elezioni di quartiere del 20 novembre prossimo, e provare a pensare cosa farà se gli prendesse il ghiribizzo strano di candidarsi per esempio alle amministrative del maggio 2019.

A come potrebbe, in punta di regolamento, per 865 giorni, trarre vantaggio dalla visibilità derivantegli dalla propria carica, magari per farsi campagna elettorale con largo anticipo.

E poi, negli ultimi 45 giorni prima della consultazione, a chi gli dicesse “Ma io ti conosco! Tu sei il presidente del comitato di quartiere”, rispondere: “Non, non lo sono. In un passato remoto, qualche giorno fa, lo ero. Anzi, lo fui”. Questione di tempi.

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